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Dopo tutti i concetti espressi durante i miei episodi fin qui, trovo naturale concludere questa serie con un episodio su un tema complesso e caldo come quello del cosiddetto “conflitto” israelo-palestinese: credo che se esistesse una definizione di “storie distanti”, questa storia ne sarebbe la rappresentazione plastica.
Si sono spese parole da parte di molti osservatori, politici e non, e all’inizio mi sono chiesta se ci fosse davvero altro da dire.
Amici Ebrei e Israeliani, mi rivolgo a voi: sono sempre stata e resterò sempre dalla parte vostra, e di tutti i popoli oppressi, sfruttati, maltrattati. Mai potrò dimenticare il vostro genocidio e ciò che il vostro popolo ha dovuto affrontare. Le immagini di Buchenwald, Auschwitz, Dachau, ormai storia, sono vive nella mia memoria. Mi fanno piangere ogni volta, perché sento su di me il senso di colpa di ciò che è accaduto. E proprio per questo faccio appello a questo passato terribile che so che sentite profondamente sulle vostre spalle. E vi domando se pensate che ci siano popoli che meritano ciò che il vostro popolo ha dovuto subire.
Se la risposta che darete è “Sì”, non consideratemi vostra amica. Anzi potete smettere di ascoltare perché ciò che dirò oggi non vi piacerà. Se la risposta è invece “No”, perché fate appello alla vostra coscienza, e alla vostra millenaria memoria collettiva, proseguite nell’ascolto.
Oggi proveremo a tornare indietro nel tempo, risalendo alla Storia e alle cause del conflitto, ascoltando entrambe le parti. Cercherò comunque di farlo in modo imparziale, ma poi come sempre darò la mia lettura dei fatti.
Ciao, io sono Valentina. In ogni puntata vi racconterò delle storie, distanti tra loro nel luogo e nel tempo, che si riveleranno più vicine di quanto non sembrasse, in un mix di cultura, storia e attualità.
Benvenuti a Io non sono nessuno.
Settembre, 2025.
Nelle ore in cui finisco questo episodio, l’IDF è entrata a Gaza City, di fatto ultimando quello che io non ho paura di chiamare genocidio, al di là del dibattito semantico che se ne è fatto. Dibattito che sempre in queste ore, la commissione d’inchiesta indipendente ONU ha chiuso poiché è stato riconosciuto a tutti gli effetti il genocidio del popolo palestinese. Da qui la mia scelta: prendere posizione. Non rimanere neutrale. La parte che ho scelto è quella dei Palestinesi. Io vi sento. Vi vedo. Vi ascolto e oggi provo a dare voce alla vostra sofferenza perché non posso fare molto altro purtroppo. Non siete numeri, siete persone. Vite. Donne, bambini, uomini. E vi chiedo scusa, dal profondo della mia coscienza, per ciò che state subendo e per l’inettitudine dei governi europei. Scusateci. Non lo meritate. Nessuno lo merita.
Prima di raccontarvi le due distanti storie di Israele e Palestina dobbiamo cominciare da quella Terra contesa e da ciò che è successo lì: solo attraverso di essa possiamo capire perché la ferita non si è mai rimarginata.
Un po’ di storia:
Se nell’età del Ferro, quindi tra il XII e il VI secolo a.C., la regione vede l'emergere dei regni ebraici di Israele e Giuda, in seguito quella terra cade sotto il controllo di grandi imperi: Assiri e Babilonesi (che distruggono il Primo Tempio di Gerusalemme e deportano gli ebrei), ma anche Persiani (che permettono il ritorno e la ricostruzione del Secondo Tempio).
Poi arrivano i Greci con Alessandro Magno e infine la Dominazione Romana. Ed è in questo periodo che avvengono eventi cruciali per il Cristianesimo. Le rivolte ebraiche contro Roma portano a una massiccia diaspora ebraica, ovvero la dispersione forzata del popolo ebreo, e l'imperatore Adriano cambia il nome della provincia da Giudea a Syria Palaestina, nel tentativo di cancellare il legame ebraico con la terra. Ciò che oggi definiremmo “cancel culture”.
Circa 5 secoli secoli dopo, le forze arabe musulmane conquistano la Palestina, segnando l'inizio di una lunga era di dominio islamico. Gerusalemme diventa una città santa anche per l'Islam. A quel punto vengono creati i Califfati e durante questo periodo, la maggioranza della popolazione si converte gradualmente all'Islam. La lingua araba si diffonde.
Dopo 1000 anni, arriviamo al 1517, all’Integrazione nell'Impero Ottomano. Da allora, per quattro secoli, la Palestina è parte dell’Impero Ottomano: una popolazione prevalentemente araba, musulmana e cristiana, con una minoranza ebraica.
Poi, verso la fine del diciannovesimo secolo, accadono due cose contemporaneamente. E da lì, le due storie — quella israeliana e quella palestinese — iniziano a intrecciarsi in modo fatale.
È arrivato il momento di camminare con le scarpe degli altri, come direbbero gli inglesi.
Immagina di vivere a Gerusalemme. Parli arabo, professi la tua religione, l’islam. Hai una casa, una famiglia, una comunità, una cultura che ti accomuna agli altri musulmani della tua terra. Fai parte della maggioranza della popolazione, ma un giorno, l’Impero Ottomano, l’impero che ti governa, entra in crisi. Ti chiedi se perderai la tua lingua, la tua cultura, la tua fede. Senti che ciò che conosci è a rischio. Puoi davvero essere al sicuro se ti governa qualcuno che non ti rappresenta?
Nasce un sentimento: quello nazionalista, indipendentista arabo.
Ora, cambia prospettiva.
Immagina di vivere in Europa, sotto regni e imperi. La violenza nei tuoi confronti è all’ordine del giorno: discriminazioni e pogrom una realtà comune a quelli come te: gli ebrei. Siete tra i reietti della società, che abbonda di storie, leggende ma soprattutto pregiudizi che non manca di vomitarvi addosso ogni volta che può. Tutto ciò che desideri è solo una casa, un posto dove professare la tua religione insieme alla tua comunità, un luogo in cui essere in pace con te e col mondo, una terra sacra dove avere diritti e dignità. Siamo nel 1896 e Theodor Herztl scrive “Der Judenstaat”, (Lo stato ebraico). Nasce il movimento sionista. Nella Bibbia, Sion è il monte su cui si trova il nucleo originario di Gerusalemme, la terra promessa al popolo ebreo. Il sionismo auspica la nascita di una patria internazionale per gli ebrei in Palestina, uno posto in cui gli ebrei hanno diritti e dignità.
Ora, è importante dire che il sionismo non è un blocco monolitico: ci sono sfumature, correnti, tensioni. Ad esempio tra chi vede questo progetto come un ritorno mistico o religioso, chi come necessità politica, chi con approccio più “socialista”, chi più nazionalista. Quindi il sogno del sionismo, per quanto comprensibile, fin dalla sua nascita, portava con sé il seme del conflitto: il desiderio di riconoscimento, ma su una terra in cui un’altra popolazione pretendeva (giustamente) lo stesso riconoscimento.
L’Occidente in questa situazione non si cura di tutto questo e non si preoccupa di intervenire in modo violento per i suoi interessi: scoppia la prima guerra mondiale. L’impero Ottomano crolla, ma qual è il prezzo?
Facciamo un passo indietro.
Nel 1917 il ministro degli Esteri britannico Balfour scrive a lord Rothschild, rappresentante della comunità ebraica inglese e sostenitore della causa sionista. In questa lettera, nota come Dichiarazione Balfour, il governo inglese si impegnava a facilitare la creazione in Palestina di una sede nazionale per il popolo ebraico, senza pregiudicare i diritti civili e religiosi delle comunità non ebraiche esistenti in Palestina, o i diritti e lo status politico goduti dagli ebrei in qualunque altro Paese.
Riflettiamo bene su questo: diritti civili e religiosi. Non si parla di diritti politici. Le “comunità non ebraiche”erano la grande maggioranza: gli arabi palestinesi.
Un mese dopo gli Ottomani perdono Gerusalemme, poi Damasco e infine Istanbul. Poi finisce la guerra, l’Intesa ha vinto e gli accordi di Versailles scontenteranno gli arabi. E ci credo.
Poco prima della dichiarazione Balfour, gli inglesi sembrano far intendere che daranno seguito alle loro richieste di indipendenza dopo la guerra, chiedendo in cambio un sostegno contro gli Ottomani. Falsi doppiogiochisti, come dicono alcuni storici? Oppure si trattò solo di un malinteso, come altri storici pensano? Temo che non potremo mai rispondere a questa domanda.
Segretamente però sappiamo che, con l’avallo della Russia, Inglesi e Francesi si sedettero a tavolino già prima della fine della guerra e si iniziarono a spartire le aree di influenza nel Medioriente, una volta conclusa la guerra, con l’accordo Sykes-Picot (dal nome dei funzionari inglese e francese che lo conclusero). La Palestina, inclusa Gerusalemme, viene destinata a un’amministrazione internazionale. Questo di certo era intenzionale e infrangeva senz’altro entrambe le promesse fatte agli arabi e agli ebrei.
Da quel momento in poi, solo tensioni e violenze.
Poi arriva la Seconda guerra mondiale. E l’orrore dell’Olocausto. Un dolore senza nome.
Ma la sofferenza del popolo ebreo purtroppo genera altra sofferenza. Una parte della storia che molti non conoscono è quella che racconta la Nakba. “La catastrofe”, in arabo. Un trauma che ha segnato generazioni: nel 1948 centinaia di migliaia di palestinesi furono costretti a lasciare le proprie case, i propri villaggi, tante di quelle case furono distrutte, molte comunità rase al suolo, molti non furono mai più autorizzati a tornare.
Questa guerra, una guerra vera non è: è stata caratterizzata da azioni di guerriglia, di terrorismo e azioni miitari. Ogni volta una motivazione diversa riaccendeva la scintilla, ma le conseguenze erano sempre le stesse. Non si contano i morti e le perdite soprattutto civili da parte del popolo palestinese. Il massacro di Sabra e Shatila, nel 1982, è solo uno dei tanti esempi. Vi invito ad approfondirlo davvero, perché la cosa è complessa e non posso spiegarla all’interno di una puntata del podcast, ma se vi va come sempre troverete tutto il materiale che vi serve nella sezione Risorse&Media che ho preparato sul sito www.iononsononessunopodcast.it.
Oggi, guardando Gaza, guardando i bombardamenti, guardando i bambini morti, mutilati, guardando gli sfollati — è evidente che la Nakba non è mai finita. Continua, ogni giorno. E' un’atrocità che si ripropone oggi dietro alla scusa del terrorismo islamico e del 7 ottobre 2023.
Per dirla con le parole del professor Bergamini, docente di Storia del Giornalismo presso l’università di Bergamo:
“Il conflitto arabo-palestinese è al tempo stesso qualcosa di meno e molto di più di una guerra [...], è il nodo di un confronto di vaste proporzioni tra Stati Uniti e “Occidente” da un lato e paesi arabo-musumani dall’altro, in cui si intrecciano profonde divisioni cutural-religiose e giganteschi interessi materiali”.
Il professor Bergamini intendeva parlare degli interessi legati al petrolio in particolare... e non sapeva ancora che è stato dato a Tony Blair, sponsor della British Petroleum, il governo ad interim della striscia secondo il piano di pace di Trump. E non sapeva ancora nemmeno che nel 2025 una donna, la relatrice speciale ONU Francesca Albanese, avrebbe portato avanti un’inchiesta indipendente sugli interessi mossi nel genocidio. L’inchiesta è stata conclusa e resa pubblica a giugno 2025, durante il 59esimo Consiglio per i Diritti Umani delle Nazioni Unite.
Il report indaga come l’occupazione israeliana dei Territori Palestinesi Occupati dal 1967 (ovvero Cisgiordania, Gaza, Gerusalemme Est) non sia solo un problema militare o di confine, ma un sistema economico vero e proprio, che favorisce lo sfruttamento, la dislocazione e la sostituzione della popolazione palestinese, il tutto con l’avallo, quando non hanno direttamente un ruolo protagonista, di istituzioni finanziarie, operatori del settore militare e tecnologico, imprese immobiliari, aziende che operano negli insediamenti, eccetera, eccetera. Microsoft ha di recente stracciato il contratto con Israele per il cloud Azure, dichiarando chiaramente che Israele usava il servizio per monitorare e tracciare milioni di palestinesi.
Nello specifico nel report si fa riferimento a meccanismi di spostamento e sostituzione del popolo palestinese, in modo sistematico, attraverso le demolizioni e abitazioni, espropriazioni e impedimenti di ritorno. Seguono poi ricostruzioni ed espansione degli insediamenti israeliani da parte dei cosiddetti "coloni".
Ora, molti screditano i report di Albanese perché faziosi. Ma guarda caso, è notizia di settembre 2025 che Il ministro delle Finanze d'ultradestra Bezalel Smotrich, descrive la Striscia come "una miniera d'oro immobiliare da spartire con gli Usa". Nella video-intervista, con sottotitolato di La7 che ho trovato sul canale ufficiale della rete su Instagram, Smotrich dice che c’è un piano aziendale sulla scrivania di Trump e che sono state avviate le trattative e che ci sarà da dividersi le percentuali con l’America. Dice anche che hanno completato la fase di demolizione e ora c’è da ricostruire.
Il problema qui non è scegliere chi ha diritto al dolore. Entrambi i popoli ce l’hanno. Ma oggi, il dolore palestinese è negato, cancellato, disumanizzato. E se non credete che l'orrore si stato normalizzato, dovete pensare che c'è un ex soldato dell’IDF che ha creato un videogioco in cui è possibile ammazzare i palestinesi.
Ed è per questo che ho scelto di stare dalla loro parte. Essere dalla loro parte non vuol dire essere contro gli ebrei, ma contro il governo israeliano. E’ Netanyahu il mio nemico.
Arrivata a questo punto mi chiedo: se il dolore degli uni ha generato il dolore degli altri, siamo ancora in tempo a immaginare un futuro che non sia solo una catena di vendette?
Io francamente non lo so. Non posso rispondere a questa domanda e credo nessuno possa. Ma una cosa la so: come cittadini, possiamo lottare contro chi alimenta la violenza, contro chi disumanizza, contro chi ribalta la realtà per proteggere i propri interessi.
A te che hai ascoltato fin qui tutti gli episodi: grazie. Hai sostenuto un progetto indipendente. Non sono sicura se e quando ci saranno nuove puntate, però… Mai dire mai.
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