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Richiede circa 20' di letturaCiao, io sono Valentina. In ogni puntata vi racconterò delle storie, distanti tra loro nel luogo e nel tempo, che si riveleranno più vicine di quanto non sembrasse, in un mix di cultura, storia e attualità.
Benvenuti a Io non sono nessuno.
Cominciamo insieme il nostro primo viaggio nella lontana India. Tra i Monti Khasi, e le ripide valli che scendono giù, dall’Himalaya lungo il fiume Brahmaputra, e dove conosceremo il popolo che occupa quelle terre. Poi da qui attraverseremo di taglio l’antropologia moderna per arrivare a concludere il nostro viaggio nella nostra penisola.
II Khasi sono un popolo di agricoltori, i loro membri sono forti e robusti, anche perché il clima di quei luoghi è u clima difficile: la stagione secca è fredda e molto ventosa, mentre quella piovosa rovescia cascate d’acqua per mesi, che vanno a gonfiare i torrenti che corrono verso il Gange, quindi immaginate anche una terra ricca di vegetazione, molto fertile ma anche molto insidiosa.
I khasi hanno la pelle chiara e gli occhi grandi e tondi… Un po' strano, no? Ci si aspetterebbe il classico occhio a mandorla, considerando che siamo in Asia… ma non è così per loro, perché L’origine di questo popolo è antichissima, risale a prima che avvenissero certe divisioni etniche che diedero origine al popolo Mongolo.
Le donne khasi sono alte e muscolose anche loro, quanto e più degli uomini: sono in grado di portare scorte e raccolti per chilometri attraverso valli, discese, salite, in coni che si legano addosso con una cinghia e contemporaneamente possono portare anche un bambino sulla schiena. Quasi senza fatica. Ora, immaginate una donna o un uomo occidentale: non riuscirebbe a percorrere neanche la metà di quelle distanze anche senza trasportare niente.
Potreste aver pensato fin qui che i Khasi siano una popolazione vissuta alcune centinaia di anni fa: beh, i Khasi esistono ancora oggi. E la loro società è mutata pochissimo tanto che la dottoressa e ricercatrice Heide Goettner-Abendroth, osservò queste donne e i membri di questi grandi clan di questa popolazione soprattutto perché quella società era veramente molto diversa non solo dalla nostra occidentale ma perfino dalla stra-grande maggioranza di quelle asiatiche.
Ma cos'è che interessava tanto la dottoressa nel dettaglio? Partiamo dal punto centrale: nei clan Khasi il nome del clan della madre è quello più importante. Cosa vuol dire? Vuol dire che nella loro società, l’eredità si trasmette da madre a figlia e non tramite il padre per esempio, i figli portano il cognome della madre e non quello del padre.
Ma non solo: cosa deriva da questo ordinamento? Diversamente da cosa si potrebbe intuire, la madre non dà ordini: da lei si va per chiedere consiglio e i membri spesso accettano di buon grado la sua saggezza perché la madre è anche colei che detiene un ruolo religioso. Ella infatti è la sacerdotessa della famiglia ed è colei che ha il compito di eseguire i riti cerimoniali, specialmente quelli funebri. Inoltre la madre è colei che custodisce e si prende cura delle proprietà della famiglia, senza trarne alcun vantaggio peraltro, e si occupa di redistribuire le ricchezze, compresi i proventi dei raccolti, in base ai bisogni di ciascuno, dando luogo a quella che antropologicamente viene definita “economia del dono”.
“Khasi” significa “figlio di una madre”. Nome emblematico, direi.
Alla luce di tutto questo, si potrebbe pensare che la donna Khasi quindi sia investita di un ruolo di potere, ma non è così: lei ha un ruolo di responsabilità, e spesso è soprattutto un onere, un fardello da portare, oltre che un onore. La sua presenza fisica è fortemente richiesta in quanto punto di riferimento della sua famiglia e questo fa sì che sia molto limitata nei suoi spostamenti, che sono tendenzialmente circoscritti alla casa e dintorni.
E non è lei che prende le decisioni: ogni clan tiene un consiglio, e ogni scelta presa è frutto di una consultazione. Non ci sono vigilantes o soggetti che svolgono un ruolo di controllo. Non ce n’è bisogno: tutti seguono volentieri le decisioni prese perché non sono imposte dall’alto. E un'altra cosa interessante è che non esiste l’uso della forza né esistono eserciti o soldati fra i Khasi.
Gli uomini? Loro rappresentano la famiglia all’esterno del clan, sono il volto della famiglia, detto in modo un po' grossolano ma all'incirca è così, e non sono autonomi, non possono decidere per gli altri. Tuttora gli uomini restano subordinati al volere del consiglio, nonostante che la società khasi è leggermente cambiata perché anche il nome del clan del padre è onorato e considerato, rispetto a prima quando non veniva considerato minimamente. Comunque il clan della madre resta sempre quello più importante.
Cosa poteva vedere la dottessa Abendroth? Beh, ha potuto vedere che questa organizzazione della società costruisce un rapporto di fiducia e di collaborazione tra i membri del clan e ha visto anche che la parità sociale viene davvero garantita così, come in nessuna democrazia o stato "avanzato" dell'occidente.
Ma riuscite a immaginarlo? Riuscite a vedere questa società? Io ho avuto molta difficoltà, lo confesso, quando ho scoperto di questo popolo, ho avuto difficoltà proprio a pensare che fosse possibile che esistesse, perché sono abituata - siamo abituati - a vedere la competizione, l’individualismo, il testosterone dominanti... sembra veramente incredibile che sia possibile vivere in quel modo pacifico. Non fraintendetemi, di sicuro litigheranno anche loro, sono umani, ma l'idea che possano non esistere eserciti, che la società possa davvero essere organizzata in tante piccole famiglie che collaborano fra loro e i cui membri hanno un ruolo importante ciascuno, mi lascia una speranza.
Secondo le sue svariate ricerche, in tutti i campi del sapere, riguardo al matriarcato, la Dott.ssa Gottner-Abendroth ha stilato 3 condizioni particolari, un paradigma, che ci dicono quando una società può essere considerata matriarcale. Come potrete immaginare la società Khasi rientra ovviamente nella sua definizione. Non entro qui nei dettagli della sua teoria, ma trovo interessante farvi notare che in generale, gli studi sul matriarcato sono stati estremamente limitati, spesso tacciati di ideologia (quale ideologia? Ovviamente il femminismo) o semplicemente non presi sul serio. La definizione stessa di matriarcato era una cosa semplice, banale, simile a “potere delle donne”, ne parleremo tra poco, e non fu mai approfondita veramente per tanto tempo perché moltissimi studiosi in realtà sostenevano non essere mai neanche esistita una società del genere.
Ci sarebbe un'infinità di cose da dire al riguardo, dalle prove archeologiche ritrovate in Turchia, a quelle a Creta, a quelle nelle grotte in Francia, per non parlare anche di miti e religioni… ma non ne ho il tempo quindi intanto, se volete approfondire, vi linko il libro cui sto facendo riferimento della Dottoressa Gottner-Abendroth sul sito del podcast, o in alternativa, per una cosa un pochino più light, ho linkato alcuni video che riassumono e spiegano il lavoro della dottoressa e il matriarcato in generale.
L’antropologia così come la intendiamo oggi, che è la materia all’interno della quale si muovono le ricerche della dottoressa Gottner-Abendroth, è piuttosto “moderna” come branca del sapere, e la maggioranza degli studiosi sono stati uomini. Ma grazie ai movimenti femministi, negli Stati Uniti dell’Ottocento soprattutto, anche le donne hanno potuto approcciare la materia portando un punto di vista diverso e soprattutto notando ciò che gli uomini non avevano notato.
Abendroth fa emergere che contrariamente a quanto gli uomini, gli studiosi uomini, avevano detto, la parola “matriarcato” e quindi anche il significato di “società matriarcale” non è il “potere delle madri” o “delle donne”, il matriarcato non c’entra assolutamente nulla con la parola “potere”.
Matriarcato letteralmente vuol dire “in principio, le donne”.
Le donne sono “all’inizio” infatti: sono le progenitrici, sono coloro che donano la vita, custodi della famiglia e della casa, sì, ma non nel modo in cui lo intendiamo di solito oggi, attraverso le lenti distorte fornite dalla nostra società occidentale... e testimoni di questa definizione sono società come i Khasi, ma ce ne sono tantissime altre che semplicemente non furono studiate a dovere.
L’apporto che le studiose hanno portato nel riconoscere i ruoli femminili nelle società analizzate in antropologia è stato chiaramente provato in casi come quello dei Trobriandesi, una popolazione delle isole Trobriand, inizialmente studiati da Malinowsky che non aveva riconosciuto l'importanza dei ruoli delle donne trobriandesi perché quelle donne non potevano stare in presenza degli uomini durante alcuni riti e usanze e quindi Malinowsky ebbe modo di studiare questa popolazione solo dal punto di vista maschile, ma non colse questo aspetto; o il caso degli Irochesi, una delle popolazione native americane, di cui abbiamo informazioni già dal Settecento, attraverso i racconti del missionario francese cristiano Lafitau, e che sembrava indicare un ruolo femminile più prominente rispetto invece agli studi fatti su questa popolazione in seguito.
Le donne sono “all’inizio” anche nel senso che la prima forma di società probabilmente è stata questa, e le stesse religioni sembrano raccontarci questo. Ci sono moltissime prove che tratteggiano un filo rosso dai culti antichissimi come quello della Dea Madre fino al culto della Vergine Maria dei giorni nostri. Sono tutti culti che richiamano molti elementi del matriarcato.
Ci sono anche molte prove trovate da paleolinguisti, e da altri ricercatori in tanti altri ambiti di studio, ma nonostante ciò non si parla di matrarcato, non si parla di Antropologia a scuola. A nessuno capita di imbattersi in queste informazioni se non perché ci si avvicina di sua spontanea volontà.
E scommetto che voi, come me, prima di sapere queste cose, pensavate che il matriarcato, a intuito, fosse semplicemente il “potere delle donne”, ma questa è una definizione fuorviante, come abbiamo visto.
Ora concludiamo il nostro viaggio nella nostra penisola. Vi invito a pensare alle definizioni di matriarcato che abbiamo appena citato.
Perché ci siamo dati questa definizione fuorviante? Certo, sono mancati degli studi approfonditi come ho detto, ma perché facciamo riferimento proprio al potere? Proprio perché non l’abbiamo studiato a fondo prima, si chiede Abendroth, da dove è uscito fuori il termine “potere” nella parola matriarcato?
E’ interessante chiedercelo perché se ci pensate, anche la parola “archeologia” contiene la radice greca "arkhé" che è la stessa attaccata a “mater” in matriarcato, ma in “archeologia” nessuno pensa al potere, in quella parola abbiamo lasciato il significato vero della radice greca che si può tradurre con “all’inizio”, “in origine”.
Per rispondere alla domanda iniziale, dobbiamo partire necessariamente da ciò che viene contrapposto al matriarcato.
Il patriarcato, nella definizione antropologica e non nelle chiacchiere da bar, è uno dei sistemi possibili in cui una società è organizzata.
È indiscutibilmente gerarchico, l’eredità si tramanda dal padre, ed è il suo il nome più importante, la forza e il potere vengono esercitati e anzi i maschi tendono a competere, non a collaborare. Le donne hanno il ruolo di custodire la famiglia, la casa, crescere i figli; talvolta vengono considerate merce di scambio o premi…
Adesso voglio che facciate un esercizio pratico. Applicate ciò che vi ho appena detto al mondo che vi circonda e, attenzione: non limitatevi a pensare solo alla società occidentale ma allargate i vostri orizzonti e pensate anche alle società del mondo, pensate all’Africa o al Medioriente o all’Asia, alle società presenti e a quelle passate, perdetevi in queste immagini, richiamate alla mente tutti i dettagli che che ricordate riguardo all'organizzazione di quelle società e mettetele a confronto con ciò che vi ho appena descritto...
Le società umane sono organizzate su questo sistema da tempi antichissimi. Attenzione: non sto dicendo che la nostra società non abbia fatto dei passi avanti, ne sono stati fatti moltissimi, ma credo sia assolutamente indubbio che quella struttura sia ancora lì. La vediamo bene. E’ come uno scheletro ma è ciò su cui abbiamo costruito il resto. Come un acquedotto romano rimasto in piedi dopo secoli, ci siamo abituati a vederlo in piedi dov’è e a passarci intorno per non doverlo buttare giù e anzi, lo utilizziamo magari normalmente.
Il capitalismo, il colonialismo, il classismo, il razzismo, il consumismo: sono semplicemente sistemi gerarchici, di competizione, e perciò non sono altro che nuove forme del patriarcato, forme più evolute; patriarcato inteso come lo si intende dal punto di visto antropologico: il potere, stavolta dobbiamo usare questo termine, degli uomini.
E allora ecco perché abbiamo creduto che il matriarcato fosse “il potere delle donne”: perché sappiamo tutti perfettamente che il patriarcato è un sistema di potere maschile e quindi il matriarcato doveva logicamente essere un sistema di potere a sua volta. Per molti antropologi maschi, non c’era nemmeno bisogno di studiarlo, quindi. Non si ammettono sistemi diversi in questa logica in cui siamo immersi e quegli studiosi, che il matriarcato non hanno studiato, ce ne hanno dato una prova tangibile.
Un po’ come quelli che pensano che “femminismo” sia il contrario di “maschilismo”. No, non lo è.
La prossima volta che sentirete qualcuno dirvi “Che palle ‘sto patriarcato”, diffondere falsità al riguardo o peggio ancora negarne l’esistenza, come hanno fatto taluni politici, come per esempio il nostro ministro Valditara in un intervento durante la presentazione della fondazione Giulia Cecchettin, sappiate che chi è di fronte a voi è qualcuno che non sa assolutamente di cosa sta parlando.
Valditara, e tutti quelli come lui, possono anche pensare che non esista ma il numero di donne uccise dice esattamente il contrario, perché quelle donne hanno perso la vita solo perché donne e considerate non libere di fare le proprie scelte. Ed è incredibili che il ministro si sia espresso in questi termini quando è esattamente questa la definizione di femminicidio che il suo stesso governo ha approvato. Il reato di femminicidio infatti prevede l'ergastolo per, cito:
«chiunque cagiona la morte di una donna quando il fatto è commesso come atto di discriminazione o di odio verso la persona offesa in quanto donna o per reprimere l’esercizio dei suoi diritti o delle sue libertà o, comunque, l’espressione della sua personalità».
Mi domando come si possa veramente combattere un problema agendo solo sulle conseguenze e non sulle cause? Punire dopo che una persona ha perso la vita non diminuirà questo genere di reati, anche se è un passo avanti perché finalmente viene riconosciuto ufficialmente un problema.
Non si sta però indagando a fondo per comprenderne le cause.
Aggiungerei anche un’altra questione da non sottovalutare affatto: sopprimere una parola, dire che il patriarcato non esiste, o rifiutarsi di parlare di "femminicidio" come fanno in molti, nel cervello umano, è un’operazione pericolosa, perché è davvero capace di cambiare quello che vediamo, di porre delle lenti che filtrano la realtà. Ma di questo ne parleremo più approfonditamente nel prossimo episodio, dove il viaggio prosegue in tutt'altra parte del mondo, con l'aiuto della Linguistica e della Psicologia.
Intanto, posso solo anticipare che non credo affatto sia un caso che il sistema patriarcale attuale abbia iniziato ad avere paura delle parole.
Ma magari mi sbaglio io, in fondo io non sono nessuno.
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Crediti musica: YouTube Libraries e Freesound
Intro e Outro: Speak The Truth - Go By Ocean _ Ryan McCaffrey
Streets Of Punjab - Hanu Dixit
Raag Charukeshi - Madhyalaya Teentaal (Sitar, Tabla) - Sandeep Das, Amrendra Mishra
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Defying Gravity - Density & Time
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